“La Musica Che Manca”

L’ultimo festival di Sanremo si è concluso, finalmente, e le polemiche che hanno caratterizzato questa edizione assomigliano a quelle che, oramai, si ripetono sempre, da anni.

Sull’opportunità di realizzare uno show così roboante, mentre le categorie legate alla musica sono, da un anno, alla canna del gas, preferisco sorvolare, benché abbia un’opinione ben precisa sull’argomento, in quanto credo sia più importante sottolineare un aspetto che riguarda non solo Sanremo, ma il mortificante andazzo che ci viene imposto da un’industria discografica lontana anni luce dai bagliori sfavillanti e dalle grandi intuizioni del passato.

La musica pop italiana, quella commerciale, non è mai stata di livello così basso: nelle composizioni, nelle esecuzioni, nella gestione dei personaggi che ci vengono imposti, manchevoli di quel carisma che dovrebbe farli splendere come stelle.

Quel carisma per il quale nessuno si permise di criticare Renato Zero, negli anni settanta, citando il glam rock di Marc Bolan, dei Roxy Music, di David Bowie, influenze decisamente palesi nei look con i quali il cantautore romano si divertiva a provocare e a scandalizzare il benpensante pubblico di quegli anni.

Ma Renato aveva dalla sua la voce e, sopra ogni cosa, le canzoni.

Esattamente le armi che mancano ad Achille Lauro, per cui ogni “quadro” da lui creato, seppur studiato a tavolino alla perfezione, finisce per puzzare di toppa, per un buco fin troppo grande.

Ma il problema non sono gli Achille Lauro, i Maneskin e compagnia bella.

Il problema è che l’industria discografica si rifiuta di offrire alternative artistiche, che ci sono, che sono sempre esistite, persino nei passati festival di Sanremo, a ciò che viene definita musica commerciabile.

La figura del cantautore è divenuta desueta e la sua morte pubblica viene giustificata come “fuori moda”.

Gli artisti che cercano di essere originali “non portano denaro”, per imporli al grande pubblico è necessaria una progettazione accurata e il sistema ha deciso che il consumo di musica dev’essere immediato e rinnovabile velocemente.

Saper suonare, saper scrivere è divenuta quasi una colpa, sicuramente un titolo non fondamentale.

Eppure, in un passato neanche troppo lontano, le cose andavano in maniera diversa.

Basta dare un’occhiata alle classifiche di vendita dei dischi (ebbene sì: la musica si acquistava), nei decenni scorsi: troverete artisti pop altrettanto beceri e scontati (ma tecnicamente più preparati) di quelli che oggi ci vengono imposti e artisti “altri/alti”, i quali potevano contare sullo stesso riflettore, sulla stessa promozione, quelle che oggi definiremmo “pari opportunità”.

Basta controllare.

Oggi, vige un’esclusività, con base sottoterra, dalla quale non si scappa, non si sfora, come se la tavolozza di un pittore possedesse tutti i toni di un solo colore.

Oggi, i Lucio Dalla, i Fabrizio De André, i Pino Daniele, i Lucio Battisti, quei geni la cui morte fisica e assenza artistica rimpiangiamo ogni giorno, sarebbero costretti a fare un altro lavoro.

Quelle staffette cadute a terra, sono una sconfitta per tutti noi: per chi ama l’arte della musica, per i nostri figli, per questo pianeta sempre più grigio.

Il problema non è la musica che c’è, ma quella che manca, a farci sentire più affamati e soli.

Maurizio di Tollo