Il PRIVILEGIO dei PRIVILEGI !!!

———- Sono passati quasi 2 anni, da quando il principe Harry ha piantato baracca e burattini ed e’ volato lontano; aprendo una delle più profonde e pubbliche spaccature della famiglia reale. Dopo essere svolazzato via dalla tossicità di Buckingham Palace, ha continuato ad infierire contro la corona, insultando in diverse occasioni padre e fratello. 

E’ venuto meno alla regola fondamentale “never complain never explain”; criticando la vita di corte, il potere dei tabloid, le dure e rigide direttive di palazzo ed il principio deleterio di reprimere i sentimenti. Siamo tutti saliti sul treno di Harry e Meghan, schiacciati dalla freddezza e dalla rigidità della monarchia inglese. I fuggitivi, grazie all’ingente eredità di Diana, sono riusciti a cambiare vita, trasferirsi oltre oceano, e comprare una lussuosa villa vicino ad Oprah Winfrey.

Entrambi in prima linea su tematiche e battaglie sociali e civili, Harry si e’ concentrato sul tema della salute mentale, raccontando gli anni bui e la spirale negativa in cui era sprofondato, dopo la morte prematura della madre.

Il suo ultimo intervento ha, però, scatenato non poche polemiche. Il Principe, infatti, si e’ lanciato in un excursus discutibile. L’insegnamento esistenziale del duca di Sussex e’ molto semplicistico: abbandonare il lavoro che non appaga e non rende felici. Più facile a dirsi che a farsi, soprattutto nel periodo post Covid, in cui in molti hanno perso il lavoro e hanno dovuto arrangiarsi per sopravvivere ed arrivare alla fine del mese. 

La presa di coscienza sulla salute mentale, ed il voler rincorrere il lavoro perfetto, non paga ne’ bollette ne’ affitto. Il privilegio dei privilegi, per eccellenza, e’ fare un lavoro che rende felici, ma la gente comune e’ spesso costretta, per svariati motivi, ad accontentarsi per poter portare a casa la pagnotta. 

Il punto di partenza, l’importanza della salute mentale, del principe ribelle e’ rilevante e valido. Ma la responsabilità principale non deve cadere sul lavoratore infelice che non si dimette, ma sulla situazione economica che non permette facile transizione da un lavoro ad un altro, e sulla poca attenzione dei datori di lavoro nel creare un ambiente sano e vivibile.