Nicola Zingaretti

Lo stillicidio di cui parla oggi il Segretario dimissionario, non aiuta certo a capire la fine della gestione Zingaretti, che tanta euforia suscitò due anni fa, quando arrivò a risollevare le sorti di un partito, dilaniato da perenni divisioni e continue fuoriuscite. Di errori – secondo noi – il povero Zinga in realtà non ne ha commessi pochi, forse l’ultimo dei quali è stato quello – veniale – di pensare di poter tenere insieme una compagine squinternata di lupi famelici, ognuno alla ricerca della propria scialuppa di salvataggio. 

Tutti ci rimanemmo di stucco, quando nell’estate del 2019, deciso ormai ad andare alle elezioni piuttosto che finire nelle mani dei pentastellati, si fece convincere dal famigerato nemico Renzi all’inversione di rotta a 180 gradi, costruendo un governo di rincalzo coi grillini, tenendosi come presidente il buon Conte, appena buttato a mare dalla banda salviniana, che sperava di poter fare bottino elettorale, con una scelta che lo stesso Zingaretti aveva lasciato intendere come condivisa. Dopo poco più di un anno rimase nuovamente avvinghiato nelle grinfie del Renzi, sempre gran cacciatore di primi piani, questa volta proteso ad azzerare Conte per passare ad altra vita governativa, perché tutto cambiasse senza nulla cambiare, a giudicare almeno dalle recenti nomine dei trentanove vecchi/nuovi sottosegretari. E il povero Zingaretti si buttò a capo fitto a difendere Conte, amando ripetere o Conte o morte, molto più di quanto gli stessi grillini avevano il coraggio di sostenere. Ma morte fu! E nemmeno poté pertanto prendersi un poco di merito per l’avvento di Draghi, finendo per lasciarlo tutto ai due Mattei, che vistosamente ed immeritatamente hanno finito per appropriarsi della sua nomina presidenziale. Non sazio di cotanta cessione decisionale, il nostro Segretario ha pensato bene di puntare tutto sul consolidamento di alleanza con i 5 Stelle, dappertutto dove si potrà e dovrà, finanche a Roma per il Campidoglio, dove la distanza del PD dalla Raggi che sembrava siderale, forse adesso si azzererà, perché Zingaretti avrebbe finito per preferire lei – o chi per lei – a quell’intruso imprevisto di Calenda, non essendo il partito capace di tirar fuori dal proprio cilindro null’altro di meglio. Ma è arrivato a dire che buono sarebbe pure Conte come futuro leader di coalizione, se solo lui volesse tornare ad accettare il ruolo, che il nostro Zinga ha sapientemente prospettato per la prossima tornata elettorale nazionale, ignorando che un Conte leader dei pentastellati darebbe loro 6 punti percentuali in più, a totale discapito del mortificato PD che li perderebbe in ugual misura.

E in tutta questa rinuncia alla leadership ecco che oggi arriva la notizia: Zingaretti si sente il bersaglio della lotta alle poltrone in atto nel partito e butta la spugna.

Nessuno dubita che in questa indecorosa pratica parlamentare il PD possa vantare mentori ben all’altezza della situazione, non da meno ovviamente di tante altre scuole di tutt’altra colorazione, compresa la recente gialla, da qualche anno vergata ormai con successo allo stesso esercizio.

Ma siamo sicuri che questa e solo questa doveva decretare la morte del partito ragno, quello che tesse la tela e poi se la mangia?

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