Alzare gli occhi dal piatto…quando le emozioni diventano cibo !

Tre milioni di persone, tre mila vittime all’anno, sono questi i numeri delle persone affette dai disturbi alimentari. Quando leggi queste cifre non puoi fare altro che chiederti com’è possibile che oggi, ancora cosi tante persone muoiono per i Dca, ma soprattutto perché? Il disturbo dell’alimentazione è un’alterazione delle abitudini alimentari accompagnata da una esagerata preoccupazione per le forme e per il peso corporeo. Colpisce prevalentemente gli adolescenti e prevalentemente il sesso femminile ma è comunque in aumento anche nei maschi e in età preadolescenziale secondo le ultime statistiche. Quelli di cui sentiamo parlare più frequentemente sono l’anoressia e la bulimia, nella prima c’è un rifiuto del cibo, nella seconda invece ci sono degli episodi bulimici ovvero la persona in un brevissimo periodo di tempo ingerisce grosse quantità di cibo non riuscendo a controllarsi e poi compensa con vomito lassativi o digiuni, ma non è da sottovalutare l’estrema selettività nel cibo che può avvenire in età infantile. Soffrire di questi disturbi, sconvolge totalmente la vita quotidiana in tutti i livelli possibili, tutto quello che prima risultava normale, ora diventa un ostacolo perché l’unico pensiero presente nella mente di chi ne soffre è il cibo. L’unica cosa su cui possono avere il controllo. Cosa mangiare o non mangiare diventa un ossessione. L’identificazione di questo disturbo è molto difficile, le cause che lo scatenano non sono ancora ben definite, è il concatenarsi di vari fattori che sembra scateni queste disfunzioni. Fattori genetici, psicologici e ambientali. Quello che è certo, è che il disturbo dell’alimentazione è un sintomo, vale a dire che è il modo in cui un problema a monte si manifesta. Come scrive Fabiola De Clercq nel suo libro Fame d’amore ‘’L’anoressia e la bulimia sono il sintomo tangibile di un dolore che non si vede, di un disagio psicologico lungamente incubato, segno di una crepa nella memoria o nella vita famigliare’’. Chi ne soffre infatti vive un senso d’inadeguatezza costante, inadeguatezza col mondo esterno che sia la scuola o la famiglia, ha difficoltà a metabolizzare un trauma o difficoltà a relazionarsi con le problematiche che la vita gli pone come può essere un fallimento scolastico e lo urla al mondo così. L’unico scudo che ha è la pelle e più è ossuta e dura come una corazza e più si sente protetta. Un altro motivo per cui è difficile identificare un disturbo alimentare, è che la persona che ne soffre è talmente risoluta e perfezionista che puoi confondere quelli che sono i sintomi con atteggiamenti adolescenziali, come il chiudersi in bagno o in camera sempre più spesso dopo aver mangiato, o il voler essere sempre perfetti. Un genitore con un figlio che sta avendo questi problemi, non può affrontarlo da solo, deve affidarsi a esperti, chiedere aiuto a chi può supportare la figlia o il figlio psicologicamente e fisicamente ma l’importare è agire e non aspettare perché in fase adolescenziale e preadolescenziale i ragazzi sono come spugne, assimilano velocemente gli atteggiamenti anche quelli sbagliati ma non hanno ancora la capacità di saper scegliere con cognizione. Il fattore tempo è determinante, bisogna agire non quando la persona è dimagrita ma quando inizia a cercare il modo di farlo. Bisogna farlo quando è ancora accessibile a livello psicologico per evitare di arrivare allo stadio se vogliamo dire ‘’finale’’ ovvero il ricovero ospedaliero. Spesso quando arrivano li hanno le funzioni vitali seriamente compromesse e prima di poter fare qualsiasi cosa, vanno rimessi in condizioni di vivere. A un certo punto si identificano con la malattia, senza di essa non sono niente, si incarcerano in un presente continuo, il passato è doloroso e il futuro richiede una pianificazione, una speranza che in loro non esiste, perché per pensare a un futuro devi aver fatto pace col passato e devi aver interiorizzato che c’è un altro modo per sfuggire al dolore e all’ansia, devi aver accettato che l’imperfezione è giusta e devi aver accettato che la vita quasi mai si può controllare ma merita di essere vissuta lo stesso, paradossalmente è questa la domanda a cui una persona anoressica o bulimica non sa dare risposta, voglio vivere?